Ora io lo so che qualcun penserà che ce l’ho coi bambini, coi malati, con la gente che non riesce a curarsi, con le onlus, o, peggio con Al Bano.
Ma vi giuro che non è così!
Cioè, Al Bano mi sta un po’ sugli zebedei. No, a dirla tutta, mi sta molto sugli zebedei. In effetti non l’ho trattato molto bene nemmeno quando ho recensito quell’agghiacciante Così Vicini Così Lontani
La verità è che Al Bano, al secolo Albano Carrisi, è uno di quegli artisti (si fa per dire) che non riescono ad accettare di aver fatto il proprio tempo.
Così si riciclano in spot, reality vari, ed insopportabili format iperbuonisti, lasciandosi sputtanare in diretta tv pur di fare gossip e racimolare un’altra ospitata.
Uno pensa a veri artisti, come Francesco Guccini, o Ivano Fossati. Due che, non solo mai si presterebbero a simili boiate, ma che, nonostante il successo non li abbia mai abbandonati, hanno mandato in analisi migliaia di fan con la scelta di abbandonare le scene.
Insomma c’è gente che a un certo punto dice basta, ho dato, adesso faccio altro.
Lui no, lui si piace troppo per pensarsi finito, così eccolo sempre in tv, tra un concerto in Russia e uno spot.
Ma il vero problema è che non si può proprio fare uno spot così!
Da un lato queste inquadrature orrende con Al Bano che appare in sovraimpressione davanti ad un ospedale o in sala operatoria, sorridendo e mandando sms mentre sullo sfondo i bambini vengono curati.
Dall’altro i testi: “vorrei essere qui, nell’ospedale di Wau in Sud-Sudan, vorrei essere il medico che lotta contro la fame, vorrei lavorare con Maria e Cesare,volontari che salvano i bambini”.
Che uno dice “beh, vacci!”. Invece no, lui gli manda due euro via sms e rimane qua a infestare la nostra tv!
Sto parlando dell’orribile spot della Aispo, associazione per la cooperazione internazionale del San Raffaele, che ha appunto scelto Al Bano come testimonial, probabilmente al solo scopo di farlo concludere con lo slogan: felicità è cambiare la vita con un piccolo gesto.
Se proviamo a paragonarlo, ad esempio, con il nuovo spot di Medici Senza Frontiere, che chiede un contributo per la lotta a ebola, si capisce subito cosa intendo.
Non si sorride, non si mostrano immagini che possano intenerire, non c’è il testimonial famoso. Ci sono, invece, le voci di chi ogni giorno rischia la vita per un ideale.
Le inquadrature sono fisse, autentiche. Le mascherine e la tuta di protezione che vengono sfilate danno l’idea dei corpi, degli esseri umani che stanno dietro alle scelte. Non eroi, ma gente che crede in qualcosa e fa fino in fondo il proprio dovere. Ed il claim non è “felicità”, ma “io sono pronto a ripartire, tu sei pronto a sostenermi?”
Ecco, si può chiedere la stessa cosa (un sostegno per una giusta causa), facendo leva sul poco che serve a lavarsi la coscienza, come fanno Al Bano e la Aispo, oppure richiamando ad una responsabilità collettiva come ha scelto di fare Medici Senza Frontiere.
Sono messaggi diversi, che indicano, senza dubbio, diversi concetti di vita, di impegno, di società.
Otello Piccoli
E se almeno non avesse i capelli tinti – giusto così, per fare almeno finta di essere “uno di noi, uno come tutti”…
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