Ci era mancato il sorriso cinico di Frank Underwood, la sua freddezza, il suo muovere i fili dei burattini, il suo sguardo in camera che, per una volta, ci lascia in attesa, fino ad un brivido finale quasi da film horror, quasi da Shining. Ci era mancata Claire, il suo mistero, il male ed il bene mescolati tra loro, l’ipocrisia, il ricatto, la vendetta.
E ci era mancata Zoe, la professionalità e l’arrivismo, la sicurezza ed i sensi di colpa, il fascino e la corruzione.
Ieri sono tornati, dopo soli pochi mesi di attesa, ed è stato un ritorno col botto: belle, bellissime, le prime due puntate della nuova stagione.
Non mi addentrerò in un’analisi completa della serie, che potete trovare cliccando qui, ma è impossibile non dire niente su questo inizio di stagione.
Vi avviso subito che, se non avete visto le puntate, dovete fermavi qui, oppure andare avanti a vostro rischio, perché il post conterrà del fastidiosissimo spoiler!
La prima puntata si apre, com’era ovvio, con le preparazioni per la nomina di Frank a Vicepresidente degli Stati Uniti, mentre Zoe continua ad indagare sull’omicidio di Peter Russo. E’ una puntata che va avanti senza particolari colpi di scena, e che si infiamma appena, quando si tratta del trasferimento forzato di Rachel, che Doug, il fedele braccio destro di Frank, gestisce con fermezza e con modi, forse, eccessivamente rudi.
Per tutta la puntata, però, il pubblico più attento si ritrova orfano del tratto distintivo di questa serie tv: l’abbattimento della quarta parete. Te ne accorgi, senti che qualcosa non va, pensi che forse hanno rinunciato a quella caratteristica fondamentale e ti chiedi il perché.
Ma è quando meno te lo aspetti, quando stai piangendo la fine di Zoe– che Underwood (in modo forse un po’ “telefonato”) spinge sotto la metro, riuscendo anche a farla girare, così da non far pensare ad un omicidio- che lui, guardandosi allo specchio, con un doppio carpiato, ti inchioda lì: “credete che vi abbia dimenticato? O magari ci speravate!”. E poi lo dice: “esiste una sola regola, o cacci o vieni cacciato”, insomma la politica è la giungla, e non puoi fare l’erbivoro, nella giungla.
Geniale, emozionante, quasi spaventoso.
La morte di Zoe, invece, sembra diretta conseguenza del filone aperto da Il Trono di Spade: affezionati ad un personaggio e io lo faccio fuori. Anche se, non essendo un’opera
corale, come il capolavoro della HBO, l’unico che non può essere fatto fuori è Frank.
Ciò detto, la seconda puntata inizia che tu hai ancora i brividi addosso. Underwood è finalmente vicepresidente, e trama per nominare il proprio successore alla leadership del partito al congresso.
La sua scelta ricade su Jacqueline “Jackie” Sharp che, da degna erede di Frank, passa sul cadavere (politico) del proprio mentore per ottenere quel posto. La sua influenza sul Presidente è sempre più forte mentre deve fare i conti col suo nuovo “amico/nemico” Raymond Tusk.
Intanto Claire (che sembra avere l’evoluzione più interessante in assoluto, ma lo scopriremo poco alla volta, puntata dopo puntata) va in crisi, e con lei Frank, quando si ritrovano alla cerimonia di premiazione del generale McGinnis , l’uomo che, al college, la violentò.
La rabbia è tale che il neo Vicepresidente vorrebbe non consegnargli la medaglia.
Ma la politica è anche e soprattutto questo. Un compromesso con sé stessi, coi propri sentimenti, i propri valori, il proprio credo, la propria dignità.
Quello che la politica italiana cerca da sempre di nascondere, e che, invece, House of Cards ci svela senza paura.
Otello Piccoli