“Una volta c’erano solo le tenebre. Se me lo chiedessi ti direi che la luce sta vincendo”.
A parlare è Rust, il vero sconfitto di questa prima stagione di True Detective.
Era lui il duro, il cinico, l’orgoglioso. Era quello pieno di domande ma anche di certezze. Era quello inaffidabile, ma essenziale. Era il violento, lo spostato, rovinato dalle lunghe permanenze da infiltrato nella malavita.
Era quello votato al martirio o, peggio, ad essere scoperto colpevole. E, come ne L’elemento del Crimine, sublime opera prima di Lars Von Trier, molti spettatori lo immaginavano già lì, ad indagare su sé stesso: il copycat, o addirittura l’assassino originale, che ha bisogno di essere scoperto, e vuole lasciare all’amico l’onore di fare giustizia.
Era lì che portavano gli indizi e, proprio per quello, non poteva andare così.
Rust non è il colpevole, Rust non viene ucciso, Rust si arrende all’amicizia, rinunciando così al suo fascino cinico e distaccato, ma regalandoci un momento straziante e allo stesso tempo dolcissimo.
L’indagine è finita, o almeno è andata avanti fin dove si poteva. Dopo 17 anni l’assassino (il classico figlio dell’uomo potente, un po’ alla Sin City) è morto, ucciso in combattimento dai due, dopo un’affascinante calarsi nell’inferno immaginifico di Carcosa, sulle tracce del Re Giallo.
A distoglierci dal pensiero di un misteriosissimo colpevole aveva già provveduto l’episodio 7, mostrandoci Errol sul finale.
E proprio sulla sua figura si apre l’ultimo episodio, che ci mostra subito la sporcizia, il marciume fisico e morale in cui vive l’assassino, un animo oscuro e sporco quanto il mondo che lo circonda, fatto di stupri, incesti, violenze e presagi mistici.
Nessuna spasmodica ricerca del colpevole, quindi, nell’ultimo episodio: tutto è già chiaro, bisogna solo prenderlo, e sappiamo che i due ci riusciranno.
Ritrovandosi dopo tanti anni, Marty e Rust sono pronti per l’ultima missione insieme. Una missione da compiere quando entrambi non sono più poliziotti, perché il sistema aveva insabbiato tutto.
Ma soprattutto un finale per le loro anime. Sì, perché la storia, l’indagine, se non aveva importanza all’inizio, non ne ha alla fine. Resta il pretesto per indagare l’uomo e i suoi lati oscuri. E l’indagine ci porta a vedere i due, così agli antipodi per tutta la stagione, ritrovarsi come una cosa sola in un panteistico paradiso di uomini e stelle che permette alla luce di dissolvere l’oscurità.
Almeno finché può. E così, è Rust a dover fare un passo indietro e dichiararsi sconfitto, anche e soprattutto dalla vita che non ha voluto regalargli la catarsi finale, il martirio dell’eroe che la sua anima inquieta, forse, avrebbe voluto.
Tante domande restano inevase, e non avranno risposta. Nella prossima stagione avremo un’altra storia e nuovi protagonisti, Colin Farrell e Vince Vaughn, che dovranno fare i conti con l’eredità della più grande scoperta del 2014: Mattew McConaughey, il Re (del) Giallo.
Otello Piccoli