Attesa da tutti (ma forse anche no), la disfida del martedì sorride a Giannini che, col suo Ballarò, fa 2 milioni 503 mila spettatori (11,76% di share), mentre Floris, col suo DiMartedì su La 7, raggiunge 755 mila spettatori e il 3.47% di share.
Questo per quanto riguarda i numeri. perché s parliamo di qualità la sconfitta è per tutti, ma soprattutto per il pubblico.
Abbiamo assistito, infatti, a due versioni del vecchio Ballarò, condite giusto con qualche piccola novità tanto per darsi un tono. Uno spettacolo sempre uguale a sé stesso nelle idee, nella struttura, nei tempi, negli ospiti. Posso anche capire che squadra che vince non si cambia ma, perdonatemi l’insopportabile metafora calcistica, dopo 13 anni forse è il caso di svecchiarla, la Juventus ha smesso da tempo di schierare Boniperti e Sivori.
Giannini parte un po’ moscio, ma per l’esordio è una cosa perdonabile.
Ringrazia Floris e tenta un approccio un po’ santoriano sul giornalismo ed il suo ruolo, ma non manterrà le promesse
La sigla è stata riarrangiata da Ivano Fossati e totalmente ridisegnata con uno stile decisamente più serio e graficamente più interessante, e Giannini si fa beccare dalla telecamera mentre la balla tutto contento
Segue la solita copertina di Alessandro Poggi, con domande un po’ inutili: ce la farà l’Italia?
Ma la grande attesa era tutta per Roberto Benigni. Purtroppo l’ex monellaccio, assurto ormai al nobile ruolo di padre della patria, in questa versione non fa ridere, non provoca, sembra spento.
Resta un grande artista, che però sembra aver perso il tocco magico. Forse l’intervista non è il suo genere, e Giannini non è la spalla perfetta. Forse dovevano lasciargli lo spazio per un monologo. Lui prova anche a lanciare qualche messaggio “non fate la riforma del Senato, sistemate le scuole”, ma è poca roba.
Crozza, invece, è scoppiettante. Imita Renzi, disintegra Floris (“si sentiva la mancanza di un talk show a La 7!), raffigura Camusso e Landini come due volenterosi matusa che si fanno il selfie con la Polaroid.
Insomma, con Benigni si sorride, ma con Crozza si ride di gusto.
Questa, però, è l’unica nota positiva. Per il resto Floris s’è portato al seguito lo stesso disegnatore per la sigla, e, nonostante lo studio assomigli più a quello di Servizio Pubblico, lo stesso identico stile.
Intanto, su Rai3, Giannini intervista un Prodi sempre intelligente e lucido, con domande vaghe e piuttosto inutili, e, quando la trasmissione entra nel vivo, ti accorgi che è sempre la solita minestra.
In studio Del Rio, Brunetta, Landini, Antonella Nonino (quella della grappa) e De Bortoli.
I discorsi sono sempre gli stessi, i toni idem. Brunetta fa il guastatore e più volte si lamenta che la trasmissione sia troppo di sinistra, mentre in collegamento la Ghisleri (sondaggista di fiducia di B. che serve a dare un’aria trasgressiva al programma) fa da contraltare alla tristezza di Pagnoncelli su La7.
Le uniche novità degne di nota sono la rubrica “Password” di Ilvo Diamanti, collocata, però, un po’ sul tardi, e la mini fiction “Il Candidato” con Filippo Timi, che, nelle prossime puntate, chiuderà il programma.
Marianna Mazzuccato, docente alla University of Sussex, avrebbe da dire cose sensate, infatti la fanno parlare solo alla fine.
Dall’altro lato della barricata, Giovanni Floris, per vincere la sua partita, convoca i suoi eroi preferiti: Serracchiani, Passera, Mieli, Giannini (il ministro, forse nella vana speranza di confondere il pubblico) e Repetti. Manca solo la Polverini!
Oltre a loro c’è Guido Martinetti di Gromm, che cita Spiderman (“da grandi poteri derivano grandi responsabilità”), Serena Sorrentino della CGIL e Luigi Abete, presidente di BNL.
Quindi si alternano i soliti tristi “cartelli” e i soliti tristi servizi.
Oltre al dibattito in studio, il Presidente Piero Grasso si confronta con Mons. Galantino, segretario generale della Cei, l’intervista a Scalfari, che disintegra le riforme frettolose di Renzi. Fa un po’ ridere quando, superata la mezzanotte, Floris battezza l’ultima parte della trasmissione “Quasimercoledì“
Insomma, tanta carne al fuoco, quasi tutta bruciata, molta noia e troppa sensazione di “già visto”. Il coraggio non è previsto, l’innovazione nemmeno. Le idee, manco a parlarne. Alè.
Otello Piccoli
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